martedì 26 novembre 2019

E dal cielo caddero tre mele

E dal cielo caddero tre mele
di Nadine Abgarian 
Francesco Brioschi editore



La lettura di "E dal cielo caddero tre mele" ci accompagna fin dalle prime indimenticabili righe di un incipit originale e foriero di presagi futuri, in un mondo arcaico sospeso nel tempo. Il borgo di Maran, arroccato in cima a un monte roccioso e scosceso, afflitto da intemperie e terremoti, abitato da un pugno di uomini e donne dai nomi bizzarri, ci ricorda la cittadina di Macondo e la sua atmosfera di realismo magico, dove realtà storica e fantasia si mescolano sapientemente. Così come si mescolano il progresso del mondo che sta al di fuori di Maran e le credenze popolari degli anziani abitanti, tramandate da secoli e gelosamente conservate nei bauli della memoria. 
A Maran la vita scorre con grande semplicità, come in qualsiasi villaggio appena sfiorato dalla modernità. Ciò che conta è vivere, sopravvivere, riprodursi e morire, possibilmente in pace. Per altro non c'è tempo. Quelle che Nadine Abgarjan descrive sono vite minime, intense e profonde nella loro essenzialità.
E' il racconto di un mondo antico dove la vita quotidiana è all'occhio di tutti e il sistema di relazioni radicato e diffuso. Tutti conoscono tutti, gli interventi di solidarietà sono diretti e spontanei, il rispetto per la natura accompagna ogni gesto.
L'atmosfera idilliaca e fiabesca è velata dal tema di decadenza e rassegnazione che si delinea nelle prime pagine. Un mondo così estraneo alla modernità è destinato a finire, ad esaurirsi spontaneamente per cedere il passo a uno scenario di vita contemporaneo. Ma lo sviluppo del romanzo apre le porte alla speranza, alla possibilità che, dopotutto, ci sia una rinascita.
E se stentiamo a credere che nel caso di Anatolija le cose possano davvero andare così, con l'epilogo di una nascita inattesa e molto improbabile, data l'età avanzata della donna, possiamo invece augurarci e sperare che non tutti i villaggi siano destinati a svuotarsi e morire, che non tutti gli abitanti si riversino nelle città e che possa invece rinascere una nuova civiltà contadina che ripopoli la lande remote, attingendo sia alla cultura atavica sia al sapere contemporaneo.