mercoledì 2 agosto 2017

L'arminuta
Donatella di Pietrantonio - Einaudi

Il romanzo che abbiamo letto con il gruppo dei lettori di via Volta è uno di quei libri che toccano corde profonde dell'animo, risvegliano emozioni forti, legate alla condizione umana e alla difficoltà dell'esistenza.
Con una scrittura scarna e immediata l'autrice ci proietta in una realtà poverissima, dove la sopravvivenza è una lotta quotidiana e non conta altro, se non la forza di arrivare a sera e trovare qualcosa da mettere sotto ai denti.
Il tema del romanzo è l'assenza della madre, o meglio, delle due madri: "la parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza"..  Questa assenza così significativa per la vita di una persona è un atto d'accusa contro la società, divisa tra la sottocultura del proletariato, dove una famiglia è costretta a abbandonare un figlio per tirare a campare e l'ipocrisia della classe borghese, che non è capace di operare scelte coerenti e volitive, ma galleggia in una realtà fatta di compromessi.
La madre naturale dell'Arminuta non può permettersi di pensare, riflettere, elaborare sentimenti. Suo compito è sfamare le bocche che si ritrova ogni giorno attorno al tavolo. Il vuoto culturale completa il quadro già così squallido: si avverte che lo studio e la scuola potrebbero avere un ruolo importante nella crescita dei giovani ma ben altre sono le necessità che la famiglia deve affrontare. Bene dunque se i ragazzi ottengono ottimi risultati a scuola, ma è il loro dovere, nè più nè meno, e non sarà necessariamente il successo tra i banchi a garantire loro la sopravvivenza. E' il caso del povero Vincenzo, il fratello maggiore brillante e vivace che dirotta intelligenza e capacità su percorsi alternativi ai margini della legalità.
La madre affidataria fa invece parte di una nuova borghesia priva di connotazione culturale solida. Per giunta è una donna fragile, sottomessa e incapace di prendere decisioni autonome. Forse per questo tiene tanto all'istruzione della ragazza, intuendo che solo la cultura può essere strumento di crescita sociale.
Il romanzo è un grave atto d'accusa nei confronti del mondo degli adulti, colpevoli di rifiutare la comunicazione con i giovani e i ragazzi. L'unico personaggio che si salva è la professoressa, che intravede le capacità dei suoi studenti e cerca come può di valorizzarle. Siamo negli anni '70 e la scuola funziona come ascensore sociale. Si immagina che anche per la protagonista i successi scolastici saranno il trampolino per l'affermazione nel mondo del lavoro. L'autrice però non lo dice. Non sappiamo come la storia andrà o potrebbe andare a finire.
L'unica vera relazione è quella che si instaura tra la protagonista e la sorellina Adriana, una ragazzina selvatica e ruvida, con le mani sporche e l'italiano stentato, che per difendersi dalla vita ha sviluppato una saggezza da adulta e una grande capacità di amare.
"Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho imparato la resistenza."
L'autrice dipinge con notevole maestria il quadro di una precisa realtà antropologica, apparentemente lontana anni luce dalla nostra dimensione di vita che si colloca invece in una posizione geografica distante solo poche centinaia di chilometri da noi e lontana solo meno di mezzo secolo.

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